Niente Primo Maggio, né festa religiosa solenne in onore di San Giuseppe Artigiano, a Rignano Garganico, costretto ancora oggi a militare in zona rossa, a causa del Virus. E questo a differenza della quasi totalità della Capitanata e della Regione Puglia, rimaste da qualche settimana in zona arancione.
Pertanto, ad annunciare la giornata non è stato l’accattivante suono dell’inno dei lavoratori, sbandierato a tutto volume dagli altoparlanti delle sezioni politiche di sinistra o del sindacato, né il suono amico delle campane della parrocchia, bensì il silenzio pressoché spettrale dell’intero paese, abitato non solo dai soggetti quarantenati, ma anche dal resto, vivamente impaurito per via di un malanno che, nonostante le vaccinazioni a tappetto di queste ultime settimane, sembra ancora regnare sovrano in ogni dove, a scapito dell’economia che resta al palo in quasi tutti i settori, ad eccezione di quello alimentare, attivo per gioco forza.
Le poche manifestazioni pubbliche saranno tenute, tramite le modalità facebook o in diretta streaming, come si dice da qualche tempo in gergo (You Tube, ecc.). Fino allo scorso anno entrambe gli avvenimenti, come risaputo, si celebravano in pompa magna in tutt’Italia. I primi a colpi di comizi e cortei, sempre meno affollati, rispetto agli anni ’60 e ’70, allorché richiamavano nel Capoluogo folle oceaniche con gli interventi dei massimi leader politici e sindacali locali e nazionali. I più anziani ricordano persino Di Vittorio, e successivamente la figlia Baldina in quel di Foggia o di Cerignola, città di cui erano originari.
Il primo maggio negli anni ‘60 era un giorno sacro, per modo di dire, anche per i lavoratori, dovunque si trovassero ad operare al Nord o all’estero. Quel giorno incrociavano le braccia con o senza il permesso dei loro padroni. Chi scrive ricorda l’avvenimento accaduto tanti anni fa in quel di Bresso, dove si trovavano da qualche anno, a fare lavori vari manuali e non , compresi quelli di pubblicità ossia a vendere i detersivi casa per casa o le enciclopedie dei Fratelli Fabbri Editori nei luoghi più affollati di Milano, come davanti alla Stazione FFSS o più giù in Corso Buonos Aires, o piazzale Loreto o Viale Monza.
Quel giorno non andammo. Anzi non ci andarono neppure i fratelli, uno manovale in edilizia e l’altro apprendista ‘lattoniere’ (futuro carrozziere). Riposarono nella loro abitazione di Via Verdi a Bresso. Al sottoscritto toccò preparare il ragù misto, fatto di spezzato di vitello e alette di pollo (quella che noi chiamavamo ‘ascelle’, ben raccontato nel romanzo “Ritratto del giovane Ottavio”, in vetrina da poco e ancora poco pubblicizzato per via del Covid).
Si trattava di una soffitta, operabile solo al centro dell’angusto stabile. Ed è per questo che a mo’ di tavolo da pranzo ci servivamo di una grosso baule. Ed è qui che alle 13.00 in punto di quel lontano Primo Maggio , ci accomodammo e pranzammo a sazietà con molta pasta (i soliti spaghetti) e poca carne. In compenso scolammo una bottiglia da litro di vino rosso, acquistato alla cantina dell’angolo. A quel tempo, come si ricorderà, mancavano ancora i mini-market (in nuce, i futuri ed attuali supermercati). Alla fine, seppure non schierati nei partiti intonammo “Bandiera rossa”, ma non completammo per ignoranza di parole.
E’ questo un ricordo che ci restò per sempre impresso nella memoria anche perché per l’occasione, avendo P. una moderna macchina fotografica, fornita di ‘pellicola’, scattò alcune foto, di cui qualcuna arrivò sino ai tempi presenti (vedi Foto).
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.