La ‘guerra’ del rignanese Pasquale Campanale, combattuta e seguita dal lager meglio miniera di carbone di Herten nella Germania nazista (vedi foto), interessa e affascina.
Lo fa raccontando le sue ‘pene di Giobbe’ nel sottosuolo, a mala pena compensate dalla paga quotidiana, ritenuta per certi versi ‘lauta’ dall’interessato. E ciò in considerazione della fame vera e di lavoro che regna sovrana nel Meridione. Inoltre, grazie al suo saper leggere e scrivere acquisito nelle prime classi alle Elementari, ha la possibilità di seguire le vicende dei famigliari e compagni dispersi sui vari fronti di guerra. Lo fa attraverso lettere dirette ai propri cari in paese, quelli che come lui lo sanno fare, pochi per la verità. Ecco la sua storia di vita e di lavoro, oltre che di impegno sociale e politico. Egli nasce il 6 agosto 1906, a Rignano Garganico da Vitantonio e da Leonarda Mastrillo. Qui muore, all’età di novant’anni, il 2 luglio 1996. Il 23 giugno 1935 sposa Angela Mastrillo, che darà alla luce il primo figlio Vitantonio, il 26.12.1937. Gli altri due .nasceranno nel dopoguerra. Precisamente Leonarda il 10.08. 1947 e Michele il 18.07. 1950. Socialista della prima ora e pacifista, non condivide la partecipazione dell’Italia al secondo conflitto mondiale. Pertanto, non appena si presenta la possibilità di scansarla, gioca tutte le sue carte per disertarla. Siamo nel 1940. La Germania, afflitta dall’estremo bisogno di manodopera in ogni campo della sua economia, in forte sviluppo ed anche perché tutti i suoi uomini sono largamente impegnati in guerra, pensa bene di sostituire questi ultimi, con forze fresche provenienti dall’Italia, afflitta al contrario, come accennato, dalla crisi economica e dalla disoccupazione, specie al Sud. Si stipula un vero e proprio accordo strategico tra lo Stivale e la Germania nazista, che permette un flusso emigratorio che interessa il periodo 1937 – 1943.
Ogni anno partono migliaia e migliaia di braccia italiane al servizio del Reich, detta in lingua emigrazione dei “fremdarbeiter italiani”. Come ogni inizio, la cosa si presenta bella e accattivante. Ti forniscono il lavoro sicuro con vitto, alloggio ed assistenza sociale adeguata, sempre però nei pressi del Lager, ovvero campo. Nome, quest’ultimo, che prenderà un significato sinistro con la deportazione degli ebrei e dei cosiddetti nemici della razza tedesca o traditori che dir si voglia, quali sono considerati gli Italiani dopo l’8 settembre 1943, trattati da prigionieri di guerra, compresa larga parte degli stessi emigrati, come il Campanale, ai quali è proibito il rientro in patria. Non solo, ma i governanti tedeschi rimangiano in parte tutti i benefici economici ed esistenziali precedentemente accordati. Da questo malanno, il nostro protagonista e gli altri vengono liberati, grazie all’intervento ed occupazione della Germania da parte degli alleati anglo-americani e russi, ossia ai primi di maggio 1945.
L’interessato con i mezzi di fortuna rientra in paese, portando con sé i pochi risparmi, non inviati a casa a seguito della precipitazione degli eventi e il “mondo imbrogliato”, come di solito pontifica nelle sue lettere, di cui si dirà. Con il suddetto gruzzolo, risucchiato in parte dalla svalutazione della lira, riesce a comprare alcuni capi bovini, dedicandosi a tempo pieno al loro allevamento in montagna. Successivamente mette fissa dimora in un fabbricato in parte restaurato e in parte ricostruito ex-novo nella sua campagna di Centopozzi.
Fin dall’inizio del suo rientro in paese, partecipa attivamente alla ricostruzione del fronte di sinistra, sempre da socialista, assieme al PCI, più forte di numero e di uomini. Vi entra con la sua gloriosa bandiera socialista con simbolo del falce e martello e libro aperto, gelosamente conservata e nascosta durante il passato ventennio. Dopo la sconfitta del frontismo, ad opera della DC nelle elezioni politiche del 1948, il PCI forte sul piano organizzativo pensa bene di trasformare l’anzidetto vessillo socialista a suo uso e consumo. Pertanto, ci ricama sopra il proprio simbolo della sola falce martello.
Rinato alla fine degli anni ’60 il PSI nenniano con una sua sezione autonoma (1968), la bandiera con il tavolo prendono posto nei locali a piano terra di Palazzo Baronale. Struttura, quest’ultima, che rimarrà vitale fino al 1993, in seguito chiusa definitivamente per via di Tangentopoli. Va da sé che la bandiera in questione, nonostante menomata nella sua veste, è ancora viva, custodita amorevolmente com’è da un militante, pronta per essere issata all’occorrenza.
In tutto il dopoguerra, Campanale, è un riferimento costante dei socialisti in tutte le campagne elettorali. Organizza i comizi, a Luigi Tamburrano, Luigi Di Maggio, ecc. Ogni volta è costretto a lasciare i suoi animali al pascolo e a rientrare in paese d’urgenza. Nel 1952 la sinistra capeggiata dal candidato sindaco Giovanni Tusiano, si afferma nettamente sulla DC. Nasce così il primo governo di sinistra della storia repubblicana nel paese. Il Campanale, diventa presidente dell’ECA ed attivo sostenitore della giunta Tusiano-Partipilo-Teto fino al 1956., allorché ritorna in sella, messo su questa volta non dalla DC, ma dalla civica “Tre Montagne”, Pasquale Ricci, che resterà in carica fino al 1960, allorché salirà sul trono, il dc Gabriele Draisci, che governerà per ben 15 anni di seguito. Nel 1970, il rinato il partito socialista, grazie ai giovani, diventa trascinatore della lista “Tromba” assieme al PCI. Perde per una manciata di voti. Dentro c’è sempre Campanale ed altri antichi aderenti, come Turco e Iannacci. Nel 1975, la medesima formazione con in testa il giovane comunista ‘laureato’, Francesco Gisolfi e l’attivo geometra socialista Enzo d’Atti vince alle amministrative con distacco e manda definitivamente a casa il Draisci e la sua DC, che non risalirà più in sella, fino alla trasformazione del mondo politico post-tangentopoli. Il Psi darà alla cittadina, tre primi cittadini, nell’ordine di tempo: Matteo Viola (per due volte), Angelantonio Draisci e Carlo Battista. Altri prestigiosi incarichi saranno ricoperti dai suoi maggiorenti nel Sindacato e nelle amministrazioni sovra-comunali. Riprendendo il discorso di cronaca, di Campanale, emigrante in Germania nel 1942, ci sono giunte due lettere, che ci spiegano bene il suo trascorso del momento. Nella prima, datata 26 ottobre, assai toccante, parla della sua ultima venuta ‘in licenza’ in occasione della morte del fratello, deceduto a causa di ferita da guerra, pochi mesi prima e seppellito a Gioia del Colle, lasciando due nipoti orfani di entrambi i genitori. É il suo unico cruccio, che porterà sempre con sé sino alla fine, segnandolo profondamente nella mente e nel cuore. “Io solo se ci rifletto mi escono le lacrime senza mazzate”. C’è poi, quella del 19 novembre, allorché cita suo cognato Antonio, soldato impegnato sul fronte russo e scrive al riguardo: “Chi lo sa come passa i giorni di sotto alle armi di quei maledetti bolscevichi, ma penso che può durare, ma devono avere la peggio”. Non manca di citare nei saluti il cugino Mattiuccio, anche lui sul fronte russo del Don, quale bersagliere del famoso 3° Reggimento, da dove non tornerà più, incappato com’è nella famosa offensiva del 19-20-21- dicembre 1942. Per saperne di più, ecco le due lettere che pubblichiamo integralmente diseguito, scritte di suo pugno dal protagonista di questa storia che, con la seconda Elementare era uno dei pochi a saper leggere e scrivere, come pure la zia ricevente. L’indirizzo del mittente è: Operaio Pasquale Campanale – Herten I.Weetf – Lager Ewald 1/2- Germania.
Herten 26 ottobre 1942
Carissima zia Rachelina dopo tanto tempo mi sono ricordato di voi e mi devi perdonare che non ti sono (ho) scritto più subito e così oggi ti dò le mie notizie della mia buona salute che mi trovo oggi, domani non lo so, che così spero di sentire di te con tutti di famiglia.
Dunque Cara zia la venuta della mia licenza da una parte mi ha dato tanto piacere che (vi) sono (ho) visto l’ultima volta per la felice memoria del mio fratello Giuseppe che oggi riposa le sue ossa nel cimitero di Gioia del Colle, è stato proprio il suo destino che la partita(partenza) sotto le armi è stato un fulmine e tu non potrai immaginare che grande dispiacere che ho provato durante questi mesi (per)ché dentro (in) un mese di tempo sono usciti tre morti dentro la mia famiglia e il più che mi danno impressione sono i due nipotini che sono lasciati orfani come due pulcini in mezzo alla strada senza padre e senza mamma. Io solo se ci rifletto mi escono le lacrime senza mazzate.
Ora vi dico lo stato della mia salute, la venuta della licenza che mi sono fatta e compiuto lavoro ma sempre sotto terra, lavoro e guadagno anche qualche lira di più al giorno (nei) confronti a prima e sto anche meglio di salute che forse Michelino ‘Bilucco’ (Petruccelli?) ve lo sarà (avrà) raccontato come me la passo; qui zia è cominciato l’inverno, che sono già 15 giorni che non vediamo più il sole e sta sempre a piovere e a lavorare fuori sotto l’acqua sono dolori , e perciò è meglio lavorare sotto terra.
Di più zia sto scontento che le mie notizie le devono sapere prima gli altri e dopo voi perché dentro la nostra famiglia non sa nessuno leggere e scrivere, e perciò te lo dico a te di raccontare alla mia moglie di stare attenta alla moneta e che aprisse gli occhi, ancora si dovesse far trasportare da qualcuno e la truffassero la moneta, (per) ché deve pensare che (me) la sto sudando a mezza panza , (per) ché io in quattro mesi li sono (ho) spedito circa otto mila lire e di più questo mese che debbo spedire, se Dio mi fa stare bene.
Quando ricevi questa lettera me la fai sentire anche alla mia moglie e oggi stesso ho ricevuto anche una lettera dal fratello Salvatore e dice che sta bene, al cognato
Giovanni (g)li sono (ho) scritto un’altra volta e ancora non risponde. Se non mi scrive io lo compatisco, perché deve stare soggetto a chi g(li) deve scrivere e perciò io voglio sapere da voi tutte le notizie della famiglia.
Adesso Cara zia termino di scrivere. Mi rivolgi i saluti. Tanti saluti a zia Maria e alla famiglia e mi mandate i saluti anche a Mattiuccio quando (g)li scrivete. Saluti allo zio Michele e al fratello e alla moglie e alla suocera, saluti saluti alla mia mamma e come pure a Michelina e marito. Saluti ai miei genitori, saluti a zii e zie e compari e comare, più forti saluti alla mia moglie e baci al mio figlio. Saluti a tutti e chi domanda di me e da me zia ricevi i più fervidi saluti dal tuo affezionatissimo nipote Campanale Pasquale
Herten 19 novembre 1942
Mia cara zia Rachelina con molta gioia vengo a rispondere alla tua amata lettera della data del giorno 9 e io l’ho ricevuta il giorno 18 e non puoi immaginare che consolazione che ho provato nel sentire le tue buone notizie di tutti di famiglia che state tutti bene.
Dunque, cara zia come mi dite che non piove dal mese di maggio, ma invece qui sarà un altro Dio (per) ché piove tutti i giorni e qui è proprio un altro clima d’aria a confronto dell’Italia.
Poi, zia ti dico una cosa da dire alla mia moglie che il vaglia che ha ricevuto della somma di Lire 1122 non è giusto, invece, dovevano essere di Lire 1500, perciò le dirai che facesse reclamo come già io le sono (ho) mandato a dire oppure si informasse da Bettina, la Signorina che sta all’ufficio postale, (per) che essa penserà come dovrà fare il reclamo perché non una lire ma si tratta di 500 lire, comprese le cento lire del premio. Io da qui l’ho fatto subito il reclamo e poi voi mi fate sapere che cosa vi rispondono.
Di più ti dico una cosa che dal cognato Giovanni non ho avuto ancora nessuna risposta, forse (per) ché la censura la posta non la fa passare e dove sta lui,
ma non fa niente, io sono contento che ho saputo che stanno tutti bene.
Due notti fa mi sono sognato il cognato Antonio. Come vita sta bene, ma andava con la giacca tutta sporca di ‘lota’ (fango), io ci volevo parlare e non mi ha dato retta. Chi lo sa come passa i giorni di sotto alle armi di quei maledetti bolscevichi, ma penso che può durare, ma devono avere la peggio.
Poi, come mi dite che lo zio Michele deve congedarsi, ma io poco ci credo (per) ché sta un mondo tanto imbrogliato. Io prego sempre a Dio di far venire una pace generale (per)ché così tornano tanti poveri fratelli ad abbracciare le loro famiglie e parenti.
Di quelle cose che voi mi avete detto, io ho capito tutto e tutto va bene.
Io non vi prolungo il mio dire e termino di scrivere. Mi rivolgi i saluti. Tanti saluti alla zia Maria e così pure a Faelina e ai bambini e mi mandate un saluto a Matteo. Saluti allo zio Michele e alla moglie con il muto e alla suocera. Saluti alla mia suocera e alla cognata Michelina e il marito. Saluti a tutti gli zii e zie e compari e comare. Un bacio a (l) mio figlio e a mia moglie e da me ricevi un perfetto saluto dal tuo nipote Pasquale
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.