Da parecchi giorni lo fissava con i suoi occhi neri ed alquanto frizzanti, cui corrispondeva con la medesima intensità ed attrazione, quasi che fossero calamite e ferro. E ciò accadeva ovunque si trovassero, da soli o accompagnati. Prima che con le parole si cercavano sempre con gli occhi complici. Si chiamava Celina, la quindicenne della piazza, quella che strapperà per sempre il cuore di Ottavio.
Sicuramente amore vero e non la solita infatuazione. La distinzione tra l’uno e l’altro sentimento è semplice. La prima concezione ti fa sognare la donna perfetta, di cui addirittura non concepisci neppure il sesso, quasi che fosse per davvero un angelo. L’altra ti fa vedere la donna così com’è anche nelle sue imperfezioni. La pensi, la vuoi e desideri in ogni momento spiritualmente e carnalmente La ragazza all’epoca aveva un viso rotondeggiante e roseo, segnato da una bocca piccola con le labbra di rosso intenso, naturale. Capelli neri e folti. Era il naso piccolo all’in su che le dava l’aria un po’ sbarazzina’, o meglio da monella, un po’ viziata. Aveva la vita snella, le gambe affusolate e il seno appena abbozzato. L’insieme le dava un’età ancora più piccola. Comunque sia, piaceva ad Ottavio, perché avrebbe potuto essere per davvero la donna da portare domani all’altare. Durante il fidanzamento sicuramente si sarebbe sviluppata nel corpo e nella mente a seguito delle sue lezioni di maestro. Era questa la filosofia che aveva ed ha sulla vita di coppia. Il loro primo approccio maturò una sera di primo autunno. Lei frequentava la terza media el’altro stava per ripetere la seconda liceale. La vide al solito posto all’angolo del Palazzotto, intenta a guardare il passeggio, quasi tutto concentrato in zona, per via delle chiese e dei negozi. Come al solito, mi guardò intensamente, quasi che volesse dirmi qualcosa. Le fece segno, come per dire seguimi. Lei capì. Cosicché, l’uomo davanti e lei dietro, in pochi minuti raggiunsero l’Arco della Monaca. Salirono sul pianerottolo e si accucciarono, come cani in calore in un angolo, dove solitamente era parcheggiata una bombola vuota di gas che funzionava in casi estremi da sedia un po’ scomoda per via dell’accentuata protuberanza della manopola di chiusura-apertura. In un baleno si trovarono incollati l’uno con l’altro. La bocca di lei, pressata su quella di lui, gli faceva perdere il respiro. Di tanto in tanto ella interrompeva e chiedeva: “so baciare, ti piace…?” I caro , poi, si sprecavano, quasi che si conoscessero da una vita. Invece erano trascorsi appena pochi minuti da quando si erano incontrati. Più andavamo avanti nella loro sensuale conoscenza e più lei si dava, quasi a dirgli ‘prendimi’. Ma lui non voleva assolutamente approfittare. Era la sua anima gemella. La rispettavae dovevo portarla all’altare candida e pura, senza alcun pentimento o ripentimento presente e futuro per averle fatto del male. E non ne ha ancora, nonostante siano trascorsi circa sessant’anni da quel primo approccio. Era nata una storia d’amore vera ed avevano entrambi il diritto – dovere di non distruggerla. Passarono i giorni e i mesi e il loro amore si rafforzava man mano sempre di più. Solitamente era l’Arco ad ospitarli, ma anche altri luoghi, come la casa di Marisella, la loro comune amica più stretta. Anzi, talvolta il giovane si serviva del fratello piccolo di quest’ultima per spedire o ritirare messaggi o lettere d’amore. Lei, invece, il più delle volte si avvaleva di una ragazzina vicina di casa. Chi sa che fine hanno fatto i romantici scritti.! A lei piacevano tanto, a prescindere dai sentimenti. Ottavio ne ha tanta nostalgia, anche perché ero sempre lui a scriverli, mentre lei, col pretesto di non poter competere, si accontentava dei ‘bigliettini’. Bigliettini che l’altro strappava di volta in volta dopo averli letti. Lo faceva, perché in essi non c’erano espressioni d’amore significative, ma solo indicazioni di appuntamenti ed altre notizie varie. Sarebbe molto bello, recuperarne alcuni di questi scritti, rileggerli e ritornare per un attimo a quegli anni e a quelle storie. Quando l’Arco era occupato, si rimediava qualche angolo buio vicino casa sua. Tanto bastava per scambiarsi qualche bacio volante o carezze più o meno azzardate. Una volta, si rifugiarono nella casa-pollaio contigua a quella principale, dove erano conservati i più disparati oggetti ed attrezzi di lavoro o casalinghi in genere. Appeso ad una parete c’era pure il cernitore di stagno doppio. I due erano appoggiati nei pressi e facevano ‘petting’ continuo. Ad un certo punto, lei cominciò a lamentarsi prima lentamente e poi sempre più forte. L’altro era convinto che fossero lamenti di piacere, anche perché era oscuro e non si vedeva un tubo. Ad un certo punto lei, non potendone più dei suoi ripetuti assalti, lo spinse con forza verso la finestrella, da dove filtrava un po’ di chiarore. Ottavio notò che con la mano destra ella si reggeva la nuca. Le faceva male, come se fosse stata trafitta da qualche oggetto contundente. Era il cernitore. In un lampo lui si ricordò del proverbio che gli ripeteva ogni tanto un incallito donnaiolo: “Non credere mai né al sudore dei cavalli né al pianto di donne! “. In aprile, il suo compleanno. Il giovane le regalò il disco “Inginocchio da te “ di Gianni Morandi (il loro cantante preferito) e una moderna maglietta di lana d’angora di colore giallo. L’indumento fu indossato su gonna nera a campana la sera stessa. Sembrava un’altra, più bella ed adulta., anche perché il petto nel frattempo era cresciuto abbastanza e il colore giallo metteva in mostra il suo volto dai lineamenti fini, che si staccava netto dal resto, grazie anche ai suoi capelli corti e neri. Per dirgli grazie e farsi ammirare, andò all’appuntamento solito sotto l’Arco della Monaca. Sprizzava gioia e felicità al massimo. I suoi occhi si erano illanguiditi sin dal primo bacio ed abbraccio stretto a morsa, quasi a diventare una sola sagoma, come si evinceva dall’ombra disegnata poco distante dalla luna piena che filtrava dall’alto del ballatoio. All’uscita, con somma sorpresa lui si accorse che era tutto ‘ingiallito’ dai peli d’angora dispersi sul suo maglioncino nero a giro collo che si stagliava bene sui pantaloni di colore beige. Insomma, era la firma del loro felice incontro serale, che tutti notarono non appena ritornati nella società. “ Da ora in poi – disse lei – indosserò la maglia solo di giorno, alle visite o al passeggio con le mie compagne!”. Ma qualche volta la metterò anche in altri frangenti. Per esempio, quando aveva le cose o era indispettita contro di lui. Giallo, significa odio – gli diceva – rosso amore.! E così sarà nei mesi futuri, sino a quando, subentrata una nuova moda, l’altra sarà cancellata. Ma non del tutto. Infatti, una volta sospinto dalla voglia di capire i suoi inspiegabili dinieghi, Ottavio la seguii sino a casa sua. Era tardi e i suoi stavano dentro. Si appoggiarono al muro dirimpettaio e si misero a sussurrarsi parole strane ed insolite: lei ad opporre i suoi no e lui i perché. Ad un tratto, l’uomo, preso dalla gelosia, cominciò ad infierire: “Ah sì, la gattina ha messo le unghie, e comincia a graffiare! – ironizzava. E lei di contro: vattene, non ne voglio più sapere! Allora – riprendeva il giovane – c’è un altro, hai fatto subito a rimpiazzarmi?! “No., No – insisteva lei – non c’è nessuno, ma dobbiamo smettere! A questo punto, l’interlocutore, convinto che non c’era più niente da fare, dapprima la ingiuriò con epiteti vari e poi, le diede il colpo di grazia: “farai la fine di tua zia …!” – sottolineò con cattiveria. Quest’ultima era una zia molto chiacchierata in paese. Per vivere bene, lontana dagli occhi e dai cuori, si era trasferita alcuni decenni prima, al Nord. Non l’avesse mai detto. Il riferimento colpì mortalmente la ragazza, che scoppiò subito in un pianto irrefrenabile, mentre l’altro si allontanava a passi veloci dal luogo del ‘delitto’. Eh sì, è come se l’avesse accoltellata per davvero! Il giorno seguente gli mandò indietro, tramite la solita latrice (l’amica comune), il disco di Morandi, ma non le lettere, per fargli intendere che era tutto finito. Ottavio seppe dopo dalla stessa confidente il vero perché della loro prima ‘rottura’. Del loro rapporto se n’era accorto il fratello maggiore e proprio quella sera presso l’abitazione di un’altra comune amica, le ne diede tante di quelle botte da stenderla letteralmente a terra. A quel punto, il risentimento dell’uomo per il negato appuntamento, si trasformò immediatamente in un cocente pentimento e rimpianto, dolendosi fortemente per il male procuratole. Da quel giorno lei non lo guardò più in faccia. Al contrario, Ottavio, sobillato da pentimento, le stavo dietro passo passo con la mente e con il fisico. Una sera del dì di festa la seguii con mezzi di fortuna persino in quel di Poggiorotondo, dove era andata da un famigliare, forse per cambiare aria ed amicizie. Era già quasi oscuro, ma di lei il cercatore non riscontrò alcuna traccia o sentore. Qualcuno dei suoi gli comunicò con allegria: “Stasera si balla “sope la basulecate!”, ossia sulla terrazza sovrastante. Ogni casa del centro antico della città e, a seguire, i fabbricati prossimi al Municipio ne tenevano e tengono tuttora una. La stessa serviva soprattutto per essiccare il vettovagliamento per l’inverno: legumi, sorbe, pere, mandorle, serte di pomodoro, ecc.; cosi i principali condimenti, come origano, menta, seme di finocchio, ecc. Girando nei pressi, Ottavio vedeva una moltitudine di giovani, maschi e femmine, che salivano su, da soli, a coppie o a gruppi, schiamazzando e ridendo di gusto per quella serata di felicità, regalata loro a buon mercato dalla residuale civiltà contadina. Le discoteche nasceranno tra non molto, inghiottendo ogni tradizione e sfiancando la gioventù, con l’incipit dello spinello prima e poi della droga sempre più pesante, negli anni successivi. La musica riempiva la strada stracolma di gente adulta ed anziana seduti accanto agli usci di casa. Si trattava in massima parte di lenti che i giovani chiamavano slow, ma anche di cha cha cha , calipso e più raramente di rock, data la piccolezza degli spazi a disposizione. Chi sa con chi ballava la sua Celina. Il giovane moriva dalla gelosia. Con lui stava anche un compagno di scuola di Jana di nome Giovanni. Anche lui aveva perso la fidanzata, originaria del posto, prigioniera anch’essa di altri gruppi locali. Cosicché avendolo come compagno al duol , la pena di lui per la gattina l’avvertì più leggera, anche se insistente. Erano trascorse ore ed ore dall’inizio del primo ballo e la festa continuava senza sosta, quasi che non facesse mai notte. Ogni tanto, l’amico chiedeva: ce ne andiamo? E l’altro: aspettiamo un altro poco!, sospinto com’era dalla speranza di rivederla da un momento all’altro in istrada per scambiare con essa qualche parola. Gli bastava un “Ciao” e sarebbe stato l’uomo più felice della terra! Ma niente. L’amico, intanto, gli informava che l’ultima corriera per Jana stava per partire e dovevano fare in fretta per acchiapparla- Ottavio si scosse dalla profonda depressione in cui era immerso da diverse ore e disse: “Giovanni, andiamo!” Avevano solo pochi minuti. Arrivati al capolinea, l’automezzo si era già avviato e loro dietro a correre e a gridare: “Ferma….ferma…”. Né l’autista, né chi era attorno, udirono o si accorsero del loro disappunto. Pertanto, appiedati, pensarono bene di mettersi da subito in marcia per raggiungere quanto prima la loro città. Questa volta, l’innamorato deluso camminava sicuro avendo a fianco un compagno di viaggio. Per di più lungo la strada non c’era alcun cimitero da incrociare, come gli accadde qualche anno prima sull’arteria che porta a Montechiano. E poi il tempo era bello e la notte stellata ti faceva compagnia. Allora, per non incontrare il lugubre luogo, fu costretto a deviare un po’ prima, attraversando un campo arato battuto dalla pioggia e dal vento. Tant’è che per prendere fiato fu costretto ad un certo punto a fermarsi e dirigersi verso un pagliaio. Affacciatosi all’uscio, con sua somma ed amara sorpresa vide disteso per terra un uomo grosso e baffuto che dormiva spensierato, avendo al suo fianco un fucile da caccia. Apriti cielo! Si spaventò fortissimo e corse a più non posso per allontanarsi in direzione del paese. Lo raggiunse dopo una mezz’oretta col fiato grosso e le gambe semi attrappite dal fango e dal freddo. Una disavventura che l’interessato ricorda ancora con la morte nel cuore. Invece, nulla di particolare accadde loro lungo la predetta strada statale. Giovanni, addirittura per ammazzare il tempo, si mise a cantare le sue canzoni preferite, mentre l’altro lo accompagnava, per quello che sapeva, con la sua voce stonata e rauca per il fumo. Passato il Villaggio, dopo pochi minuti, raggiunsero le prime case della città. Ed è qui che si lasciarono, uno diretto alla sottostante città e l’altro al suo paese, fortunatamente raggiunto un’ora dopo senza inconveniente alcuno. D’allora cambiò tutto. Anzi no, Ottavio riprovò ancora e, per addolcire l’animo di Celina, le mandò in regalo il disco “Non so degno di te” del medesimo Morandi, accompagnato da una lettera in cui le chiedeva perdono di come l’aveva trattata, quando lei era l’incudine, e l’altro il martello. Nessuna risposta. Si diceva che lei fosse cotta di un aitante giovane di Poggiorotondo. Così ché Ottavio si mise l’anima in pace. Ormai tra lui e lei tutto era finito. Passarono giorni e mesi. Tuttavia, il chiodo fisso di lui restava sempre lei. Talvolta cacciava la sua immagine dalla porta con le sue ferme decisioni, ma dopo un po’ la stessa rientrava dalla finestra con i suoi occhi languidi che lo facevano impazzire. Non gli bastavano più neppure le conversazioni scherzose quotidiane intercorse tra lui e il suo futuro cognato, compagno di classe al Liceo, col quale sfogava spesso le sue pene. Durante le pause delle lezioni erano soliti scambiarsi i biglietti o a scrivere sottecchi, quando il professore era in cattedra, le loro scherzose caricature sulla magione (la casa), sui vestiti che indossavano le germane, sulle bravate del fratello maggiore e così via. Ci ridevamo sopra con gusto, e l’ amore di Ottavio ritornava sotto sotto e cresceva a vista d’occhio. Tanto da vergognarsi per il suo atteggiamento di spasimante insoddisfatto o peggio di cicisbeo. Per dimenticarla, si diede alle pazze gioie ora con l’una ora con l’altra tra le sue nuove ed antiche fiamme. Anzi con loro si comportava sadicamente, riversandovi sopra ogni sorta di cattiveria. Le fissava l’appuntamento, ma non ci andava. Le adocchiava con intensità. Ma dopo qualche minuto girava la testa da un’altra parte, distratto da altri pensieri. Una volta, alla sua innamorata di un tempo, le disse che sarebbe andata da lei a notte fonda. Ed ella lo aspettò fino all’alba, invano, rimuginando forse dolci pensieri su una possibile maternità e sul conseguente matrimonio riparatore. Sogni, questi ultimi, avveniristici ed insensati, perché ella da anni non gli diceva ormai più niente. Un pomeriggio di mezza estate capitò il miracolo. Marisella lo incontrò e gli disse: “Alle tre e mezza, ci vediamo a casa tua! Cì sarà anche Celina”. I suoi occhi si illuminarono di colpo ed assentì, tra il sorpreso e il sospettoso, anche perché altre volte c’era già stata, accompagnata da altre amiche, come la Dina, una forestiera, rimendiandovi, però, appena qualche bacio e carezza furtiva. Dopo aver mangiato presso la zia nel centro storico,Ottavio si avviò subito verso il luogo di appuntamento in parola. Raggiuntolo, per ingannare l’attesa, cominciò a passeggiare su e giù nella stanza di sotto. Gli venne in mente un ricordo postale, pervenutogli qualche giorno prima. Si trattava di un ritaglio di giornale su come ingrassare e diventare muscoloso, ovviamente indirizzatogli senza firma. “Vuoi vedere – disse tra sé e sé ”- che è stata lei l’autrice, volendo forse mettere in ridicolo il mio aspetto magro e malnutrito?”. Per sincerarsi che fosse vero, si guardò allo specchio lungo dell’armadio e si rese conto che era vero. Sembrava per davvero uno scheletro. I muscoli delle gambe e delle braccia no, erano piccoli ma duri. “Vedrai quante ne dirò – rispose a se stesso – Forse lei ha dimenticato di com’era quando l’avevo incontrata all’Arco la prima volta, era più che una bambina magra e schizzinosa!”. Vuoi vedere – continuò a rimuginare dentro di sé – che ci viene non per amore, ma solo per verificare come abbia preso il suo scherzetto e basta? Finalmente il terzetto arrivò. Gaetanino e Marisella salirono sopra. Nel farlo lui gli fece segno con la mano di stappare qualcosa. Comprese!. Si trattava della valvola di distacco dal contatore elettrico. Agì! E la corrente fu tolta, per impedire il suono del campanello elettrico e quindi l’arrivo di qualche intruso o scocciatore. Celina indossava un prendisole a strisce, scollato al massimo. Per cui nolente o volente, lasciava intravedere quasi del tutto il seno sodo, compreso il gioco del capezzolo sinistro. Aspettava che l’altro l’abbracciasse. Ma niente- Sono venuto solo per fare compagnia – disse lei. Quindi si sedette sulla mezza sedia che stava ai piedi del lettino monoposto allestito nella seconda stanza. Nel farlo lasciò che il vestito si ritirasse un po’ su sino al disopra delle ginocchia. L’uomo trasalì. Lo stava provocando. “Dunque ci sta! – dissi a se stesso – e continuando il corteggiamento. “Perché non ci mettiamo a letto, per stare più comodi. No – rispose lei con il suo risolino sfottente “Sono venuta solo per fare piacere all’amica e non a te!”. Non posso stare con le mani in mano, ho bisogno di te – continuò a sua volta Ottavio, trafelato: – dammi un’altra occasione e ti dimostrerò che ho intenzioni serie nei tuoi confronti. Lasciami provare! Credo che tu lo sai. Tuo cognato ti parla di me quasi ogni giorno. “Non importa – rispondeva lei – per me è tutto finito! Nel pronunciare queste parole con malcelato scherno, aveva permesso, intanto, alle gambe di allargarsi un altro po’, quasi a smentire le parole dette prima. Almeno così pensava il corteggiatore in quel momento di “petting” negato. Il sangue cominciò a montargli la testa. Non poteva, non doveva assolutamente lasciar perdere-pensò. Le sue parole contraddicono i fatti . Al che si avventò sulla preda , per indurla a peccare. Macché, corrispose sì al suo bacio, ma subito dopo si tirò indietro, quasi per sconfessare la sua precedente debolezza e si ricompose gli abiti. Ricominciarono daccapo. “Sai che ti ho sempre pensata, anche quando stavo tra le braccia di un’altra. Mi sembrava di stringere te!”. Ma dai – rispose lei – come si fa a dividere il pensiero dalle sensazioni corporee? Il tuo non è amore, ma solo una banale infatuazione – insistette. Poi, con tono scherzoso, aggiunse: “Fatti una doccia e vedrai che ti passerà!”. Ormai il pretendente era convinto che dicesse il vero. Ed era quasi pronto a ritirare i remi in barca. Lei se ne accorse e, decisa com’era a farlo schiattare, tirò su il prendisole , scoprendo un ulteriore pezzo di coscia. Il giovane non ci vide più! Si alzò di colpo dalla sedia di fronte, l’afferrò con forza e la spinse sul letto, imprigionandole letteralmente braccia e gambe, mentre lei cercava o faceva finta di divincolarsi. Proseguì. Arrivato all’indumento con le dita cercava di strapparlo. A questo punto lei diede un grido, così forte, che richiamò l’attenzione degli amici di sopra, che, lasciato ogni cosa al culmine, scesero e capirono tutto. Anzi, non se la presero con Ottavio, ma con lei, che li aveva disturbati nel loro rapporto. Il giorno seguente, egli seppe – sempre in versione Marisella . che il grido da lanciato da lei non era un segno di estrema difesa, ma di resa incondizionata. “Ahi! – esclamò pentito – la prossima volta te la faccio pagare! Ma quella volta non si ripresenterà più, perché il loro destino era ormai segnato. Non si sarebbero mai più incontrati, almeno da quel punto di vista a lui assai caro. Ognuno seguirà la sua stella, seppure coltivando quei ricordi con l’amicizia, che resterà solida sino alla fine dei suoi giorni. Si rincontreranno tante volte ancora. Per lei non sarà il solito amico, che trova il tempo che trova, ma l’uomo mancato, di cui si ha bisogno sempre, specie nei momenti più importanti della vita, sempre però con reciproco rispetto. Si sono incontrati e sentiti costantemente. Sia quando insegnava in paese, sia nel Capoluogo. Nel campo delle consulenze a buon mercato, l’uomo mancato era insostituibile più del marito, esperto in campo commerciale e tecnico, ma povero di idee sul terreno prettamente sentimentale. Ottavio era per lei il riempimento. Con lui si sentiva per davvero realizzata. Quando litigava o si sentiva sopraffatta dalle colleghe, ero l’amico a stendere le relazioni conclusive del programma scolastico. L’aiutava anche a stendere i vari ricorsi diretti alle autorità su questo o quell’altro inconveniente. Fu lui a compilare il discorso di commiato per il pensionamento. Ma non andò al pranzo, da lei organizzato in un moderno residence- ristorante della città. Eppure poteva andarci, essendo ormai lei adulta, vaccinata e soprattutto senza vincoli. Su questo punto, lei non transigeva. Al contrario aveva una visione larga. Non pensava esclusivamente a se stessa, ma al prossimo, Non voleva assolutamente scombussolare le famiglie altrui. Ed è perciò che si rispettavamo reciprocamente. Il giorno del pensionamento doveva viverlo intensamente con i suoi pari, colleghi o superiori che siano. La sua presenza l’avrebbe creato delle soggezioni. Tuttavia più volte si sono procurati incontri da soli. Per esempio, la fece entrare come commissaria di esame nei corsi di formazione professionale di competenza regionale, di cui l’uomo svolgeva il compito di Presidente. Un paio di volte capitò in un scuola superiore, diretta da un amico comune, col quale aveva fatto la tenera, poco dopo la loro prima separazione sentimentale. Usò la tattica del salvataggio capra e cavoli Ossia non si schierò apertamente con nessuno di loro due. Come a dire che, talvolta, si può amare contemporaneamente due persone diverse. Stettero al suo gioco e trascorsero una vacanza per davvero speciale. Non provarono alcuna gelosia. Forse perché influenzata a dismisura dal partner, uomo pratico e venale. Lei amava sottolineare puntualmente che partecipava all’attività per motivi di soldi e non per i sentimenti. Un dire, quest’ultimo, che si mangiava in un attimo ogni benevola considerazione nei suoi riguardi. Era fatta così! Odiava gli agriturismi. Una volta, erano diretti per un’attività simile ad una città marina, pensarono bene di rimanere per il pranzo alle falde del Promontorio più vicino al Capoluogo. E questo per evitare un tragitto lungo con due auto. Si recarono all’agriturismo ‘tal dei tali’ (a quale non c’eravamo mai stati), per rendersi conto non tanto del prezzo quanto della qualità del vitto. La coppia titolare li accolse con calore, mostrando i vari pregi del locale. Ad un certo punto gli ospiti avvertirono uno strano odore di letame. Si guardarono negli occhi disturbati e in coro dissero: Va bene, va tutto bene, ora andiamo prima a tenere gli esami! Vi daremo risposta telefonicamente tra qualche ora”. Non tornarono più. In alternativa al pranzo a base di carne, consumarono a prezzo modico uno ottimo a base di pesce. Accadde in un locale sul mare nelle vicinanze del porto. Di fronte a siffatta ed incantevole vista panoramica , ebbero modo di accontentare gli occhi che volevano anche loro, come dice il proverbio la loro parte. Ottavio, lei e la sua collega di scuola, si divertirono assai a raccontare barzellette, scompisciandoci di risate. Capitarono altre occasioni ed incontri simili e dissimili, in varie altre città della piana. Ma non accadde nulla di particolare. Neppure quando ospitò Ottavio a casa sua. Seguì man mano i suoi disimpegni di cucina, mentre l’altro, forse stanco di mangiare la stessa minestra, si era rintanato nello studio, non si sa a che fare. Ottavio visse due ore felici. Si accontentava esclusivamente delle sue parole. La loro amicizia restò sempre salda ed affettuosa, mai più passionale come nella prima gioventù, così pure la frequentazione sia telefonica sia diretta, per decenni e decenni rimarrà pressoché costante ed invariata. Insomma, la vivevamo quasi che fossero sotto lo stesso tetto. Quante volte, attendeva il suo arrivo al pullman delle 20.00. L’accompagnava fino alla casa genitoriale, dove viveva la mamma ultra novantenne. Si intratteneva ore ed ore, senza colpo ferire, come se fosse un componente della famiglia. Quando c’era l’altro, di solito stavano sul balcone o affacciati alla finestra. Conversavano a più non posso, talvolta stringendosi le mani, come se fossero dei veri e propri innamorati. Ottavio ricorda pure un episodio assai scherzoso. Un tardo pomeriggio, non potendosi recare da solo, si fece accompagnare da sua moglie per via di comparizia indiretta. I nuovi arrivati salutarono per prima l’anziana. La stessa ricambiando, si complimentò, chiedendo : È La tua seconda moglie? Bravo – continuò – è molto bella e simpatica! Gli interpellati lasciarono perdere, perché la donna, colpita da ictus, viveva accudita in carrozzella. Evidentemente la stessa confondeva la sua storia personale con quella degli altri. Era, infatti, per il marito defunto, la terza moglie. L’ultimo rapporto intenso Ottavio e Celina lo sperimentarono in occasione delle terme, concordate e tra scorse insieme. Lei parlò pure dell’incidente capitogli, mentre stava per prendere il pullman, risoltosi subito grazie all’intervento ortopedico. Gli telefonò pure, per chiedere conto del suo silenzio. Ottavio tergiversò e lasciò perdere ogni cosa, sino a quando ebbe la triste notizia. Non la rivedrà più.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.