Solitamente nella vita di ogni giorno la pratica fa più della grammatica, riassumendo in sé ogni aspetto e sentimento del reale.
Il riferimento è alla teoria appresa dalle roventi confidenze di Marisa e Lola sul sesso (la lettura del libro), sentimmo in noi (io e Guido) l’urgenza o meglio il desiderio di mettere in pratica le conoscenze acquisite, possibilmente con la nostra amica del cuore. Guido adocchiò la dirimpettaia Fiora, tre anni più giovane di lui, ma già col fuoco in corpo ed appetita da un esercito di giovani più grandi di noi che le facevano la corte a turno e con insistenza, pronti ad approfittare di una sua eventuale caduta in rete. Capiterà qualche tempo dopo con il capo banda Osvaldo, ma il rapporto durerà poco, perché la ragazza aspirava ben altri ed alti gradi di conquista, come in seguito si dirà. Fiora, prima si schernì, ma poi gli restituì uno sguardo profondo, di quelli che ti strappano il cuore a prima vista. E Guido ne restò cotto da subito, forse era un amore vero, l’unico e ultimo della sua vita. Infatti, quando lui tenterà di rendere l’approccio idilliaco più serio e concreto con un vero e proprio fidanzamento, Lei parlò chiaro: “No, non sento niente per te, ti considero solo un caro amico”. E’ quanto accadeva nella città partenopea, dove l’uno e l’altra studiavano. In appresso, Fiora, diventerà infermiera professionale e fattasi donna matura, sposerà un medico e farà ritorno in paese solo raramente. Dal canto mio, mi sentivo impreparato o forse non avevo ancora trovato la donna a genio, soprassedetti, prima di lanciare il mio amo nello stagno dell’Amore, forte anche delle mie infatuazioni di ragazzo, fatte però solo di occhiate e di amori solitari. Fu in prima Avviamento, quando ne provai una…. Si chiamava Graziella, occhi neri e pungenti, bocca appena abbozzata, gambe affusolate e petto crescente. Mi accorsi che ci stava, quando nelle ore pomeridiane raggiungevo la casa del mio compagno Rocco, che abitava al Giro Esterno, per fare i compiti. Tramite la sorella di lui, le fece domanda (così si chiamavano allora le dichiarazioni d’amore). Mi disse di sì e per alcuni mesi ci scrivemmo solo bigliettini, evitando ogni incontro, perché provavamo vergogna, intrisi com’eravamo dal capo ai piedi di dottrina cristiana. Seguì un altro amore fuggevole. Fu con una compagna del vicinato. Si chiamava Pina. Quando andavo a casa sua, non essendovi sedie a sufficienza, Lei si sedeva sempre sulle mie ginocchia. Io ardevo e sopportavo. A quel tempo, una mia zia si trovava in giro di nozze a Napoli e i famigliari erano preoccupati, perché la prolungata assenza poteva richiamare i ladri a fare visita alla loro casa, situata al secondo piano di via Tale dei Tali. Perciò la nonna, mi pregò di andarci a dormire per qualche notte, in attesa che i novelli sposi rientrassero. Io avevo paura e non ci volevo andare. Ci verrà la Pina a farti compagnia– disse la madre di lei, la comare Mariannina. La ragazza era di due anni più grande. Preso dalla vergogna, scappai, restando fuori casa sino a tarda serata. E ciò per evitare di andare a dormire in coppia con la mia vicina di casa. La terza cotta fu per una ragazza forestiera, venuta in paese per trascorrervi le vacanze presso dei famigliari. Si chiamava Anastasia. C’incontravamo ad ogni ora e momento della giornata. E questo, perché i suoi parenti abitavano poco distanti dalla mia residenza. I nostri occhi si incrociavano puntualmente e per alcuni minuti rimanevano incollati gli uni sugli altri. Fu solo amore di occhi. Pochi mesi dopo la forestiera andò via. Seppi che emigrò assieme alla famiglia in America. Non la rividi più. Poi vissi un’altra esperienza elettrizzante . É quanto accadde una sera in una casa vicina a quella di Guido. Si giocava al pegno! Una sorta di gioco a quiz simile a quello odierno alla TV. Chi sbagliava a rispondere, a fine gioco era obbligato a scontare una o più penalità. Quella volta toccò a me. La capo-tavola, una signorina ben fatta ed assai burlona, chiamò me e una brunetta tutto pepe, cui avevo posato gli occhi da un pezzo e ci fece disporre l’uno di fronte all’altra. Poi, preso un orologio da polso da uomo ed afferratolo con una delle cinture in pelle, lo fece campeggiare fermo davanti agli occhi, invitandoci nel contempo a baciare i due lati. Io e la compagna ci avvicinammo e nell’ambito di eseguire l’azione, in un lampo la maestra tirò su l’orologio. Così che le nostre labbra si toccarono come in un bacio. Lei arrossì ed io pure. Fu il nostro primo ed ultimo bacio. Infatti, non siamo mai stati insieme. Le vere prime prove d’amore, invece, le sperimentai con la Dina, con la quale mi ero fidanzato veramente. Ogni sera ci incontravamo presso le sue cugine di varia età, intrattenendoci fino a tarda ora nella loro stanza, mentre erano assopite sul letto con poca roba addosso e senza pigiame. A quel tempo e in piena estate era usanza comune, vuoi per la povertà, vuoi per il caldo. Noi stavamo, stretti stretti, seduti su un angolo di siffatta e capiente lettiera. Ogni tanto, a chiusura di discorsi o frasi bisbigliati, ci scambiavamo baci e carezze alla brace. Io ne ero sollecitato anche dalla visione delle varie nudità. La relazione durò alcuni mesi. Ricordo che lei, durante il novenario della Concetta, in atto nella Chiesa Matrice al mattutino, mi faceva recapitare i bigliettini d’amore tramite una sua compagna, pure bella. Ero felice, ma non tanto. A distruggere il nostro rapporto ci pensò, invece, un motto – proverbio “All’orto del compare si raccolgono i meloni!”. Tra me e lei c’era la comparizia e così anche quest’amore si esaurì poco tempo dopo. Quindi, i miei occhi si posarono su Annetta. Era una sedicenne, un po’ sbarazzina, che frequentava la seconda Media. La scoprii, per modo di dire, in una delle mie tante scorazzate in casa di Guido. Mi disse subito di sì e i nostri occhi, sin dal primo momento parlarono d’amore in ogni luogo ed occasione. Di giorno, quando i genitori erano in campagna, m’intrattenevo dentro e fuori la casa. E qualche volta anche la notte. Sembrava un amore a prima vista, quello indovinato che ti segna per tutta la vita, concludendosi immancabilmente con il matrimonio. Durerà diversi anni, ma alla fine si estinguerà per insufficienza di luce propria. La prima prova di fuoco ci fu quando mi innamorai perdutamente di una sua compagna di scuola, ma di età minore. Si chiamava Vittoria. Era una cicciottella al bacio, con la carnagione piuttosto chiara e delicata, a differenza dell’altra che era piuttosto dura, forse perché forgiata dai lavori nelle campagne di loro proprietà. Con Vittoria eravamo la coppia perfetta, non tanto in paese, quando in quello degli studi. E questo per via dei suoi genitori, assai scrupolosi e severi su queste cose. Talvolta erano le famiglie amiche ad ospitarci. Altre volte si approfittava di qualche marinata a scuola. Così continuò per qualche anno, ma poi il rapporto fu stroncato dalla sua definitiva partenza, assieme alla famiglia, emigrata in Nord Italia. L’idea d’amore, però rimase sempre impressa nella mente, e più volte il pensiero-sentimento ha fatto capolino in me, facendomi imprecare contro il destino, mai così baro, come nei nostri confronti. Non ritornai subito dalla compagna, perché nel frattempo, girando la pagina, un’altra grande infatuazione mi afferrò. Si chiamava Cinzia e veniva da Roma, dove era stata a studiare in Collegio. Aveva, credo, tredici anni, ma sembrava una donna già fatta per via delle curve accentuate, del seno prosperoso e del viso da vamp, nonostante l’assenza di trucco. Era stata selezionata per partecipare addirittura al film della Ciociara, ma poi ne fece più nulla, perché aveva una mamma piuttosto severa su queste cose Di essa ho un ricordo bellissimo, quello del primo bacio, Una sera era la nonna a farci da balia o meglio a fare la guardiana, come si usava al quel tempo. Mentre noi seduti al tavolo, mani nelle mani, stavamo a parlottare e furtivamente a scambiarci qualche carezza. All’improvviso la mia compagna, come se fosse stata presa da un raptus, esclamò: “Nonna, perché non esci sul balcone? Dobbiamo darci un bazio! “. L’anziana che era una donna di mondo e capiva bene le esigenze di noi giovani, non se lo fece ripetere due volte e allontanandosi, rispose: “Fate in fretta, ancora viene gente”. Noi ci baciammo a lungo, fremendo di ingenuo piacere. Poi, la nonna rientrò e tutto tornò come prima. Anche quest’amore durò poco, per via del definitivo trasferimento di lei e della famiglia nella sottostante piana, ma non il ricordo che rimase inalterato negli anni a seguire. Intanto, nel frattempo, per ammorbidire la mia delusione mi fidanzai, forse per ripicca, con sua coetanea, che pure viveva in campagna. Si chiamava Rosetta ed era bellissima, di una bellezza genuina ajj’acqua e sapone, che si poteva cincischiare ed assaporare fino all’ultima goccia, come uno spumante. A questo punto, mi vidi costretto a ritornare indietro da quella che mi continuava ad aspettare impazientemente, dicendo a tutti che ero sua. Ma mi bloccai per via di altri amori in vista. Entrò nella mia vita una diciassettenne. Si chiamava Rina. Dopo un inizio da sartina tutto fare ritornò sui banchi di scuola, per prendere la licenza di Avviamento e intraprende una professione più redditizia. Farà l’infermiere professionale per tutta la vita. Dopo una serie d’incontri fattivi, la piantai di punto in bianco, per non crearmi rimorsi. La seguì a ruota Manuelina, sammarchese, anch’essa sartina. Aveva i capelli tagliati alla maschietto e indossava un montgomery di colore avano chiaro che le stava a pennello , dandole un aspetto sbarazzino e moderno. Filammo per tutto l’anno scolastico, scambiandoci lettere, bigliettini e foto. Ma un bel giorno, una sua amica (ora professoressa in pensione) mi chiamò e dandomi indietro la corrispondenza, a bruciapelo mi disse “Manuelina, questa mattina è partita per l’Australia”. E non la vidi più.
N.B. Nomi, fatti e luoghi sono immaginifici.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.