Un tempo, la processione del Venerdì Santo,anche a Rignano Garganico era accompagnata dalle Fracchie, di formato più piccolo e di acconciatura più graziosa, come si dirà più avanti.
Negli ultimi decenni, tale usanza è stata completamente soppiantata dagli incappucciati, vestiti di bianco, e dalle cosiddette pie donne in abito e velo neri. I primi impegnati a sorreggere il giaciglio con Gesù morto, le altre a portare sul cuscino i sacri simboli della Passione. Il programma 2019 non è ancora noto, ma si presume ripetitivo rispetto allo scorso anno, in termini di percorso e di orario. La stessa dovrebbe avviarsi dalla Chiesa Matrice nel primo pomeriggio del 19 aprile, percorrendo il Centro storico e poi, imboccando Corso Roma, per pervenire, poi, al popoloso e moderno quartiere di San Rocco e dintorni. All’imbrunire la folla dei devoti ritornerà a monte, rifacendo il medesimo tragitto sino alla cinquecentesca Chiesa sopraccitata, dove si concluderà il tutto con la Santa Messa, ufficiata dal parroco Don Santino Di Biase, e il resto delle funzioni pasquali. Riprendendo il discorso sul tema, va detto subito che la presenza in scena delle Fracchie rignanesi, di cui si ignora l’origine, resiste in loco, per oltre un cinquantennio, cioè fino agli anni ’70 del millennio trascorso. Il tutto lo abbiamo appreso e ricostruito tramite la storia orale. Una storia di vita che coincide con quella di una sola famiglia di artigiani – fracchiari. Si tratta dei Gentile, in particolare del capo-famiglia Giovanni (1895), scomparso circa trent’anni fa, che ne è l’inventore e l’animatore principale. Quest’ultimo era coadiuvato, nella raccolta della legna e nella costruzione delle Fracchie, dalla moglie e dai suoi sei figli e nuore. La prima Fracchia pare che sia entrata in scena qualche anno prima della Grande Guerra. Ovviamente l’ispirazione trae origine certamente dalla vicina San Marco in Lamis, dove – a quanto già scritto – la tradizione del fuoco sacro sarebbe nata nell’800. Comunque sia, l’adattamento e la fattura sono tipicamente del centro garganico più piccolo. La diversità del manufatto rignanese, rispetto a quello sammarchese, consiste nella minore grandezza (massimo due quintali), nel numero ridotto (massimo quattro) e soprattutto nel trasporto manuale delle Fracchie. L’adattamento è dovuto dal fatto che il percorso della processione era del tutto confinato nel centro storico di origine e fattura medievale. Come oggi anche ieri la folla dei devoti la processione era costretta , e lo è tuttora (parzialmente) a transitare lungo la cosiddetta Via Processionale, costituita da una sequenza di strade strette e tortuose, larghe al massimo due o tre metri. Ecco la realizzazione della Fracchia in parola, che è prevalentemente a forma semiconica. Si parte dall’involucro, costituito da una base in lamiera di forma circolare (cm 80-100), seguita in alto, distanziati l’uno dall’altro, da due o più cerchi in ferro di perimetro superiore, collegati a loro volta tra di loro da una serie di paletti verticali (solitamente di legno verde) di uguale grandezza (massimo cm 170) disposti in senso circolare e fermati con filo di ferro ai suddetti cerchi. All’interno di siffatto contenitore si affastella , sempre nello stesso senso, quanta più legna secca possibile. Quindi, si preparano due aste, affisse ai due lati delle Fracchie. Serviranno per il trasporto a spalla o a mano. Dopo di che vengono preparate altre Fracchie di dimensione minore, necessarie per illuminare il resto del corteo. Per il trasporto basta una sola unità. Come accennato, la singolare tradizione rignanese in questo campo viene a cessare negli anni ’70. E questo per il cambio di passo, imposto dalla riforma del rito religioso scaturito dal Concilio del Vaticano II, che,assieme all’abolizione della S. Messa in rito latino. Cambio, quest’ultimo, ritenuto da molti rivoluzionario, perché ha visto perire tantissime altre e commoventi manifestazioni di religiosità popolare, quali la caduta del panno (lenzuolo bianco davanti all’Altare Maggiore) al momento della Resurrezione, ecc. Tutte queste novità furono mal sopportate dagli anziani e dagli animatori dell’epoca, come il citato Giovanni, che pure di far piacere al prossimo s’inventava un pretesto di festa in ogni occasione dell’anno. Lo faceva assieme all’inseparabile Pietro Masullo. Il primo con l’organetto e la fisarmonica e l’altro con il triangolo o il mandolino, pronti a suonare lungo le strade per annunciare questo o quell’altro evento festoso: i ‘giovedì’ di Carnevale, a Sant’Antonio Abate, la fanoja a San Giuseppe, ad Ognissanti “l’anima dei morti”, eventi gastronomici, a Natale, a Pasqua e così per il resto delle annuali ricorrenze.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.