Durante l’adolescenza, Alberto era un tipo assai originale ed empatico. Non appena lo si conosceva e scambiava qualche parola, si faceva subito amicizia e ci si legava indissolubilmente. Capitò anche a chi scrive e a Primiano, entrambi suoi compagni di classe, originari della vicina Rignano Garganico.
Io ero in ritardo negli studi di qualche anno, proveniente, come ero, da un Collegio benedettino e licenziato alle medie da poco col massimo dei voti, pur essendo privatista. L’altro era anche lui di qualche anno arretrato per via delle sue vicissitudini famigliari, di cui si dirà.
In prima ginnasio, alla sua prima lezione di Educazione fisica, che si teneva puntualmente all’antica palestra dell’edificio Balilla, l’interessato, a differenza dei suoi compagni di classe che indossavano le tipiche scarpette telate in gomma, ma meno sofisticate di quelle odierne, si presentò calzato di tutto punto. Ossia aveva ai piedi scarpe invernali ben ferrate come i cavalli, seppure la stagione fredda era ancora lontana.
E questo non perché il ragazzo non lo sapesse, ma semplicemente perché egli era orfano e campava assieme all’ altro ed unico fratello, di nome Gigi, a spese del Convento di Santa Maria di Stignano, diretto da Padre Gerardo Di Lorenzo, loro zio.
Costui era un personaggio assai noto a quei tempi. Lo era per via del suo attivismo religioso e laico. Non a caso aveva contatto quotidiano con i big della DC, al governo quasi assoluto della nazione. Per via di questi rapporti, dopo il restauro, il Convento diventerà un luogo assai ambito per congressi e convegni.
Qui erano ospiti fissi i vari Moro, gli Andreotti, i Fanfani, i Carcaterra, i Russo ed altri personaggi illustri del Governo e del Parlamento- Non mancavano gli amministratori locali a qualsiasi livello, i rettori e i docenti di grido dell’Università di Bari, i prefetti, i consiglieri di Stato, i dirigenti di pubbliche amministrazioni ed enti vari.
Non appena se ne rese conto, il Prof. Capuano, docente ligio al dovere sino alla mania per ciò che attiene alle scarpe, fu sorpreso, ma non andò su tutte le furie come faceva in altre occasioni, pronunciando la sua fatidica frase: “Se non ti compri le scarpe di ginnastica, ti boccio. La mia materia – precisava – anche se riguarda l’educazione del corpo è alla pari delle altre. Non crediate che ve la passate liscia, ma ve la faccio pagare cara”
Per lui, corrispondente locale de La Gazzetta del Mezzogiorno le parole avevano peso e spesso anche significato, avendo messo in pratica più volte le sue minacce con inattesi rimandi a settembre o se accompagnati da altre materie persino alla bocciatura. Almeno così ci riferivano i bidelli o i soliti pettegoli scolastici.
Tuttavia, questa volta, il prof. non appena si accorse dell’identità del soggetto, cambiò colore e voce e balbettò: “Ragazzo, ti piace la ginnastica? Eh sì – rispose l’interrogato – Ed io ti farò grande e forte- continuò l’interrogante. Concludendo, poi, con tono sottomesso aggiunse: “Salutami caramente il reverendo Padre Gerardo e riferisci che non appena posso, lo vado a trovare”. E lo faceva per davvero, perché il prof rivestiva, tra l’altro, anche l’incarico di segretario della locale sezione DC.
Da quel momento e fino al suo ritiro dalla scuola, Alberto diventò un beniamino dell’atletica e dello sport in genere. Nonostante, le scarpe, infatti, conquistò da subito il primato in salto in alto all’italiana, portando l’asticella ad altezze mai pervenute e pensate fino allora non solo nella classe scolastica di provenienza, ma anche in tutto il Liceo, conquistandosi così il rispetto di tutti.
Quando giocava al pallone in Largo piano, tutti erano orgogliosi di essere suo compagno di gioco. Lui non accettava moine e da orgoglioso qual’era, sceglieva compagni ed amici. Per lo più erano tutti forestieri, principalmente sangiovannesi e rignanesi. Nel novero c’eravamo anche noi, io e Primiano. Lo preferivamo, anche perché, il nostro uomo non era un pendolare della Sita, ma aveva un automezzo tutto per sé con il quale si recava a scuola.
Il riferimento è alla camionetta del Convento, una sorta di jepp con la quale si faceva rifornimento di viveri la sede religiosa. Come segno di riconoscimento, rispetto ad altri veicoli, possedeva su entrambi i fianchi la scritta: “Maria SS. di Stignano”. Autista fisso, nonostante da poco patentato, era Alberto, giovane sveglio e sempre pronto e disponibile in ogni situazione. Quando, perdevamo la corsa del Pullman (allora le corse erano appena tre al giorno) era lui ad accompagnarci in paese.
Qui, poi, si fermava più volte e, intrattenendosi, acquisiva nuove amicizie dell’uno e l’altro sesso, fino a sostare più a lungo specie durante i sabato o le domeniche. Così aveva occasione di partecipare ai nostri primi balli caserecci, fatti di tanghi e valzer, ma anche di slow o lenti che piacevano tanto a Primiano. E questo perché era ancora allievo della materia, ma precoce nella crescita. A quindici – sedici anni aveva, infatti, una barba nera piuttosto folta e diffusa, tanto da ingannare uomini, ma soprattutto donne esperte.
Alberto, talvolta, si intratteneva sino a tarda ora, per via del suo automezzo, che in caso di bisogno (una telefonata al centralino dello zio), egli nel giro di una mezz’oretta poteva raggiungere casa. E poi dell’automezzo del Convento Padre Gerardo non aveva affatto bisogno. Per le sue “uscite”, assai richieste a quei tempi sia per motivi religiosi, sia profani, si avvaleva di un automezzo tutto suo. Si trattava di una ‘600, donatagli da una sorella, fin da quando era Padre Guardiano a San Matteo.
Dono, quest’ultimo, che gli costò una vera e propria persecuzione da parte delle autorità religiose ispettive per via del voto di povertà, dal quale in seguito fu dispensato. Dopo di che cambiò diverse auto, fino a sperimentare la “Cinquecento”, con la quale si avventurò a fare un tragitto lungo assieme ad un noto insegnante elementare dell’epoca.
Voleva ad ogni costo raggiungere Predappio, dove viveva Rachele, la vedova di Benito Mussolini, di cui era amico per via della devozione che quest’ultima aveva per il Gargano e Padre Pio, agli albori della sua notorietà. Arrivarono a destinazione, ma a bordo di un carro attrezzi. La ‘500 aveva, infatti, fuso il motore. E questo per via del lungo e tortuoso percorso, fatto di brevi rettilinei, ripide salite e discese mozzafiato. Per di più si faceva il tran tran, attraversando ogni città e centro abitato.
Con Alberto di queste avventure spensierate se ne parlava spesso e qualche volta era lui a dipanare i ricordi. Ci facevamo sopra un sacco di risate. Che Dio lo abbia in gloria!.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.