Ora che il Museo Paleolitico di Grotta Paglicci è entrato in funzione a pieno regime, tanti si fanno domande non solo sul suo destino, ma anche sul passato recente e remoto delle vicende che hanno interessato il sito.
Tra l’altro, si chiedono: quando è nato il primo rapporto di interscambio tra gli archeologi addetti agli scavi, a partire dalla loro massima guida, Arturo Palma di Cesnola, e la comunità locale? Perché Jalarde e non Paglicci? È presto detto.
Nel primo caso si tratta quasi di uno scherzo, non si sa se di cattivo gusto o di preveggenza. Corre, infatti, l’anno 1980. Chi scrive a quel tempo era per la prima volta consigliere comunale del paese ed assessore all’allora super attiva Comunità Montana del Gargano, guidata da una persona onesta e valida, come il medico Giuseppe Santoro. Altresì, collaborava, in veste di giornalista pubblicista, con La Gazzetta del Mezzogiorno.
Da diversi anni a Paglicci operavano archeologi di grido, ma nessuno sapeva per conto di quale Università e per che cosa. Mi decido di stendere un articolo sul tema, d’accordo con la redazione provinciale retta dal grande cronista e scrittore Anacleto Lupo. Anch’io m’ero accorto del viavai che c’era nella zona sunnominata, anche perché vi passavo accanto quotidianamente attraversando la S.P. per Foggia, dove ero impegnato come animatore culturale presso il CSC , da poco passato alla Regione col nome di CRSEC.
Un interrogativo il mio e di altri che volava di bocca in bocca tra la gente del paese, a cui nessuno sapeva rispondere o indicare chi fossero e da dove venissero, questi scavatori, per noi ancora clandestini. Ignoranza sul tema, quest’ultima, che che regnava sovrana ed imperscrutabile non solo tra la gente, ma anche in Municipio.
Non a caso la prima domanda la giro subito al sindaco Matteo Viola, che con i suoi vent’anni appena compiuti, era ritenuto il più giovane d’Italia. “Lui papale papale mi risponde negativamente, scappandogli letteralmente dalla bocca e mettendosi un pizzico di ironia: “Chi sono costoro che vengono, scavano e portano via?”. È il titolo letterale dell’articolo e scrivo il resto, evidenziando che in paese, il nome proprio della Grotta era “Jalarde”.
Tutti sapevano, per via di trasmissione orale, che la stessa costituiva, negli anni’60 dell’800, un rifugio fisso per il famoso capo brigante, Gabriele Galardi, originario di San Paolo Civitade, ma di adozione locale, dove svolgeva assieme a Franceschiello e ad altri, la sua influenza e potere brigantesco sulla popolazione. È lui , per esempio, a dissuadere il sammarchese Del Sambro e le sue orde a saccheggiare Rignano.
Nel leggere il predetto articolo, Palma di Cesnola e gli altri, a dir poco si infuriano tantissimo sul fatto di essere scambiati per ladri dal primo cittadino. Pertanto, assieme alla Soprintendenza, decidono seduta stante di chiedere un incontro chiarificatore agli amministratori comunali per dipanare l’assurdo equivoco. Con una telefonata viene deciso giorno ed ora: il giorno 13 Settembre, alle ore 10.00. Poi ci si dimentica. Ma non a torto. Infatti, nei giorni successivi si abbatte su tutto il Promontorio e il Tavoliere una pioggia diluviale, quasi che il tempo si fosse dimenticato degli uomini e del creato.
Il nubifragio dura per più giorni, tanto da far straripare il Candelaro ed allagare l’intera piana sino a Villanova, da un lato, e dall’altra, trascinare giù masse di detriti dalla montagna, cancellando del tutto strade e sentieri, mentre la vicina San Marco, vede la parte di fondo completamente allagata con case rovinate e sgombrate. Arturo Palma di Cesnola, assieme alla Soprintendente Maria Luisa Nava, riescono a raggiungere lo stesso, non si sa per quale miracolo, il paese e vengo destinato personalmente a seguire l’incontro, mentre tutti gli altri amministratori, capitanati dal Viola, si recano a San Marco, per fare sentire anche la loro voce all’incontro con Sorice, assessore regionale al ramo, intervenuto in quella città, per seguire la vicenda ed incontrare il primo cittadino del posto, Giuseppe Soccio.
Faccio accomodare i due illustri ospiti nella stanza del sindaco e dopo aver rivolto scuse per il mio azzardato articolo, intavoliamo da subito un costruttivo discorso di interscambio. È da allora che Rignano tutta partecipa direttamente ed indirettamente alla missione annuale degli scavi e ai successi conseguenti. Qualche anno dopo la Comunità Montana assegna degli appositi fondi per la messa in sicurezza dell’antro, seguiti e diretti puntualmente dall’ex- assessore muratore Anroniuccio Aniceto. L’uomo, seppure non colto di studi specifici, si innamora del sito perdutamente come tanti altri.
L’interscambio tra pubblico e privato si intensifica, sino a concedere al Professore senese la cittadinanza onoraria rignanese. La stessa è conferita nel dicembre 1987, grazie all’Amministrazione Gisolfi. Del paese, l’interessato , peraltro, è ospite fisso assieme ai suoi in tutte le altre campagne da lui seguite sino al 2004, anno del suo pensionamento e sostituzione con la docente – dirigente AnnaMaria Ronchitelli, responsabile del settore che, intanto, cambia nome, dando maggiore evidenza al fattore scientifico, oltre che nella sostanza, anche nella forma.
L’èquipe trova alloggio prima nell’ex-Palazzo “Ricci” e poi presso l’ala di Palazzo Baronale dei Del Re. Nella vicenda è direttamente coinvolta la famiglia, specie quando il Professore subisce un grave attacco di polmonite. Gli mettono a disposizione addirittura il loro cardiologo di fiducia, Armando Gismondi, che riesce nel giro di poco tempo a guarirlo.
Ricordo, quest’ultimo, che gli rimarrà per sempre impresso nella memoria sino a spingerlo, a distanza di decenni, a scrivere una lettera di gratitudine alla titolare della casa, Maria Rosaria, che ne rimane fortemente scossa ed orgogliosa di questa testimonianza.
N. B. Il rapporto amicale e di reciproca stima tra chi scrive e il “Prof” perdurò anche dopo il suo pensionamento, con telefonate ravvicinate, scambio di opinioni e cura dei suoi ultimi scritti. Forse perché vedeva in me un po’ di Rignano, e Paglicci in particolare.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.