“I Miei Settant’anni / Frammenti di Memoria”, edizione propria, 2023, pp.180 è un libro che si legge tutto di un fiato, perché racchiude la vita del suo autore, Michele Totta, deciso, appunto a 70 anni, di raccontarsi. Lo fa, a suo dire, tenendo come metro di misura e riferimento ciò che resta della sua memoria, che per modestia chiama “frammenti”. Frammenti che per la verità non sono tali, a cominciare dalla sua nascita che avviene come era costume del tempo in casa e non in un comodo ospedale o struttura di cura.
Si tratta di un monolocale, come tanti, di un quartiere povero, come quello dell’Addolorata – Porta San Severo, con porta, vetrina e una piccola finestra per il cambio dell’aria. Ad assistervi vi sono, mamma, papà e l’immancabile ‘mammana’, ossia la levatrice. Ovviamente quanto sopra gli è raccontato in seguito, perché la sua memoria è ancora in nuce e significata semmai dai vagiti di gioia per essere venuto al mondo.
Qui si sviluppa la sua fanciullezza, tra mille ristrettezze, a cominciare dalla casa fredda d’inverno, riscaldata a malapena da un solo braciere, dalla scomodità del letto unico, dove a capo dormono i genitori e a piedi i figli. I suoi vestiti sono confezionati in casa, grazie alla mamma mezza sarta; di scarpe ne ha solo un paio e per farle durare, parimenti a tutti gli altri bambini di pari età, talvolta girano a piedi nudi in istrada, o con le piante coperte da pezze di tela cerata. È iscritto alla prima elementare al Balilla, l’edificio fascista, con un maestro pure simpatizzante fascista. Tra le noie dell’apprendimento sopporta i compiti delle ‘mazzarèlle’ e poi delle parole difficili (quelle in italiano), perché egli e l’intero paese sono impastati tutti di dialetto.
A cinque e a sei anni, comincia ad aiutare in famiglia: ad attingere acqua alla fontana pubblica del “Purgatorio” e a trasportare il secchio, secondo il bisogno, a casa dei nonni anziani o alla propria. Per un certo periodo scorrazza per la cittadina e, oltre a a praticare con i compagni i giochi senza soldi della tradizione, impara a conoscere i negozi e le botteghe degli artigiani con tutta l’umanità che li tiene in cura, specie il calzolaio, il barbiere e il falegname.
Ma un certo giorno, avendo ottenuto un buon lavoro (quindicimila lire al mese) il papà, quello di ricevitore notturno presso l’albergo-ristorante “S.Michele”, dalla sera alla mattina la famiglia si trasferisce nella vicina città di San Giovanni Rotondo. Qui, hanno come abitazione due stanze più il bagno. Continua le elementari con un buon maestro, impara il dialetto locale e conosce e si lega a tanti compagni, di cui seguirà le tracce per tutta la vita.
Dopo la licenza elementare, invogliato dalla famiglia, sceglie di farsi frate francescano – cappuccino. Così che nel 1960 lo troviamo a frequentare le medie presso l’importante collegio serafico di Vico del Gargano insieme ad una sessantina di coetanei provenienti, oltre che dalla Capitanata, dal Beneventano, dal Sannio e dall’Abbruzzo – Molise. Numero che si ridurrà in seguito notevolmente per abbandono dopo aver sperimentato per qualche giorno le novità della Regola, bene accettate da Michele, considerandole innovative rispetto alla vita finora condotta. A distrarlo sono le giocate al pallone nel chiostro, le viste panoramiche e le escursioni al mare di Calenella. Scopre, inoltre, la bontà degli studi sull’umanesimo, quello della disciplina e dei principi morali, che gli diventano compagni della sua vita di riflessione ed emancipazione quotidiana.
L’anno scolastico successivo lo troviamo a Pietrelcina a frequentare la seconda e terza media. Sia dentro che fuori il convento si respira aria di “Padre Pio” e il ragazzo ne è affascinato, come pure lega bene con i professori a scuola e con la gente di fuori che trabocca di bontà e cordialità. Nel 1963, in virtù della parificazione degli studi tra istituzioni religiose e statali la classe supera brillantemente gli esami di licenza media.
A Pietrelcina, Michele si distingue per il canto e la musica, favorito in ciò dall’armonicista P. Eligio, e dalla squillante voce bianca di ogni componente. Oltre ai pezzi sacri e classici il gruppo impara anche le canzoni classiche napoletane.
In campagna passano il tempo a giocare a carte e a gustare le pizze casalinghe offerte dai contadini, specie in casa Iadanza, che destinerà a San Giovanni R. e a Casa Sollievo, per molti anni a seguire, una figlia puericultrice.
Al momento degli esami di licenza media, Michele, oltre a scoprirsi poeta, con una composizione che sarà poi pubblicata su una nota rivista nazionale, è colpito da appendicite, il primo di una lunga serie di “tarli” malefici che lo affliggeranno durante tutti gli anni di seminario. Sarà operato a Casa Sollievo e vi resterà per una settimana. Convalescente. Recupererà anche gli esami di terza media.
Nel 1964 – 1965 troviamo Michele a Sant’Elia a Pianise nel Molise a frequentare il biennio del ginnasio. Durante questo soggiorno scolastico, il nostro Totta scoprirà l’entusiasmo della giovinezza assieme alle novità degli studi e dell’umanità della gente semplice ed ospitale molisana. E questo dopo un passato trascorso con severità educativa e comportamentale, conforme anche alla mentalità patriarcale dell’epoca, racchiusa nel detto dialettale “raddrizza il vinchio (ramo) quanne è t’n’rill’ (è tenererello…)”.
Durante il soggiorno gli studenti esercitano le prime esperienze lavorative all’interno del convento: custodia dei paramenti sacri, preparazione dell’occorrente per le funzioni liturgiche, la stampa delle ostie, pulizie, aiutante del pittore addetto al restauro della chiesa, ecc. A Michele, tocca anche curare il macchinario delle previsioni metereologiche, impianto posto all’interno della struttura.
Tuttavia, l’esperienza formativa e informativa di Michele è quella della predica che impara subito ad esercitarla, grazie alla sua buona pronuncia in italiano e alla sua bravura nel mettere assieme i concetti ricchi di sapienza culturale e nel contempo di creatività innata. L’occasione è data al momento dalla necessità della raccolta fondi pro-seminari lanciata in tutte le realtà religiose. Michele gira in ogni dove e si fa sentire anche alla sede provinciale in Foggia. I suoi interventi sono puntualmente accolti dalle autorità e dai fedeli con scroscianti applausi.
A predicare “pro Seminario” è anche ad Agnone, storica città fonditrice di campane del Molisano. I frati sono bene accetti dalla popolazione che ha il cristianesimo nel sangue. Tra di essi, c’è il laico cuciniere fra Modestino, scomparso nel 2020 in concetto di santità. Frate, quest’ultimo, successivamente molto apprezzato a San Giovanni R. e nel Gargano, specie dalla gente umile per via delle sue virtù altruiste.
La vita interna si fa sentire solo quando si sta per andare a letto, secondo il dire di Michele, allorché l’ultima preghiera accompagnata dal silenzio ci commuove. E, quando ci si addormenta, lo si fa con le lagrime che scendono copiose dagli occhi dei collegiali. Sono momenti intimi, che Michele non dimenticherà mai, manco adesso che ha settant’anni ed ha famiglia con moglie e figli.
In siffatto periodo si fa stretta l’amicizia con la madrina spirituale diretta, Dina Porta (Svizzera), e di quella indiretta, in quanto stretta amica della prima la piemontese Alfonsina Cottini. Della prima conserva e pubblica nel testo diverse lettere e cartoline. Sono cariche di affetto e di buoni consigli, come i riferimenti alle visioni della Cottini. Entrambi questi sentimenti resteranno per sempre nell’animo dell’uomo, anche dopo la sua fuoruscita dalla fraternità francescana, sostenuta da entrambe con fervore.
Tra i passatempi di gioventù di Michele scopriamo anche il campeggio al mare e le scalate sulle vette del Molise e dell’Abruzzo. Qui si nutre di natura e scopre altre esperienze salutari non solo per il fisico ma anche per il carattere che si affina sempre di più, come pure il suo sapere geografico sulle regioni prossime. Negli stessi anni c’è poi la scoperta del cinema e del teatro, di cui ricorda “Guardie e Ladri”, Bernardette. Tutto gratis a Sant’Elia, compreso lo spettacolo, dove opera da aiuto direttore Padre Gennaro.
Nel biennio 1965 /1966 l’aspirante frate è a Morcone nel Sannio, dove trascorre il noviziatp, la cui prima regola da osservare è il silenzio, quello che permette in ogni momento di guardarsi dentro. Segue, quindi, la vestizione, che esprime il cambiamento di vita. Si vive ciascuno in una propria celletta, con tavolo, libri e biancheria necessaria. Supera l’esperienza, pronunciando il giuramento della professione semplice.
Dal 1966 al 1970 Michele è a Montefusco, nell’avellinese a frequentare il Liceo Classico, considerato per la serietà degli studi uno dei più importanti della Regione. Cresce negli studi e al termine ottiene la licenza di maturità nel luglio 1969. La sua formazione ormai è più che perfetta ed affronta il primo anno di Teologia (1970-1971). Tra i professori c’è anche Padre Gerardo Di Flumeri, futuro postulatore della causa per la santificazione di San Pio. Religioso a cui sarà sempre vicino fino alla sua scomparsa. Tra gli insegnanti, c’è anche l’on. Gerardo De Caro, valente deputato DC e membro dell’assemblea costituente, poi monarchico. Durante il secondo anno di Teologia è di nuovo ricoverato a Casa Sollievo per un altro “tarlo”, si tratta di colecistite. Supera la malattia dopo più di un mese, grazie alla costante cura e presenza di un primario super. Si tratta di Salvatore Del Vecchio di Rignano G.
Durante la convalescenza, conosce ed impara a perfezione l’arte del fotografo, arte – passatempo che assieme alle buone e selezionate letture di libri, di enciclopedie e giornali di avanguardia adornerà la sua vita. Sul finale del corso, infine, lo sorprende l’ultimo e micidiale “tarlo” quello dell’abbandono del saio e il ritorno alla vita privata. A fine di giugno 1972 supera anche l’esame del secondo anno di Teologia.
Nel 1973-1974, dopo aver frequentato il corso di ACS a Lecce è destinato quale militare bersagliere a Pordenone, dove concluderà il servizio col grado di Sergente. A lui il militare non piace. Tant’è che per questo suo disamore e la mancata raccomandazione non è ammesso in precedenza al corso per ufficiale, consigliato dal capitano sammarchese, come lui, Michele Sassano, futuro comandante in veste di colonnello del Distretto Militare di Foggia.
Intanto nel frattempo conosce tramite amiche comuni la bionda Concetta, la futura moglie, di cui si innamora perdutamente, come tra poco si dirà. Per mettere in pratica il suo obiettivo frequenta nel 1974 – 1977 il corso triennale per tecnici di Radiologia tenutosi a Casa Sollievo, che supera agevolmente, grazie alla sua matura preparazione scolastica complessiva precedente. Fa in tempo a fare i concorsi. Ne vince qualcuno anche al Nord, ma accetta l’assunzione a Larino e dopo qualche mese va ai Riuniti di Foggia e poi sempre con posto a concorso entra nei ruoli all’ospedale di San Marco in Lamis, sua città natale. Dove lo troviamo ad operare fino al pensionamento nel 2012, facendosi stimare moltissimo per la sua bravura tecnica ed umana sia dal pubblico dei pazienti sia dai dirigenti Asl.
Nel 1977, come accennato, in virtù dell’acquisito lavoro fisso come tecnico radiologo sposa la sua Titina. L’anno successivo arriva la prima figlia Carmen e nel 1982 il maschio-erede, Gabriele, come suo padre. Entrambi adulti hanno scelto le loro strade in autonomia. Ora gestiscono da titolari nella città di Padre Pio un avviato Centro di Estetica. Dopo il pensionamento il suo impegno come scrittore e di partecipante agli eventi culturali si moltiplicano a dismisura. È tra gli animatori del centro di poesia “La Putèca” di San Marco in Lamis. Fa parte dell’associazione “Poeti del Gargano” di Franco Ferrara. Pubblica un testo di poesie in dialetto sangiovannese, sua seconda lingua dopo quella nativa sammarchese.
Ed eccovi ora le sue ultime opere in vetrina. Oltre alla presente autobiografia, post prefata da Raffaele Cera, dirigente scolastico di lungo corso e scrittore, troviamo in esposizione anche il “Diario / dal fondo di me stesso”, un saggio opuscolo,, quest’ultimo, che descrive per filo e per segno l’operazione di tumore al polmone da lui sostenuta e superata negli ultimi anni, grazie alla bravura dei medici e alla sua ferrea volontà. Lo fa anche per gratitudine e sostegno alla raccolta fondi pro AIRC (Fondazione pro Ricerca sui Tumori).
Cosicché il nostro autore passa dall’inferno della malattia al Paradiso della guarigione sempre pieno di speranze per il futuro, speranze che ne moltiplicano e sostanziano il suo impegno culturale. La dice lunga la sua ultima poesia posta a margine della retro copertina dal titolo “La Vita Mia”, nel contempo singolare e pregna di sentimento, al pari dell’immagine della prima di copertina che con il pulcinella e la pizza ricorda il suo passato formativo compiuto quasi totalmente in terra partenopea. Ad Maiora!
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.