“Il tesoro di Gabriele Galardi” (classe1824) è un romanzo scritto da Gabriele Falcone (1944), pronipote del famoso personaggio, medico illustre di San Severo e scrittore, edito nel 2014 per i tipi di CDP della medesima città dell’Alto Tavoliere. Va detto subito che la lettura di questo libro, che si compone di trentaquattro capitoli per un totale di 230 pp., fin dalle prime righe ci piace e coinvolge, attratti come siamo dal suo verismo di tipo verghiano e dalle irrisolte problematiche che lo circondano, nonché dal linguaggio semplice e scorrevole del “tu a tu”.
Falcone sarà presente a Rignano Garganico il 17 agosto 2023 in occasione del Premio Jalarde 2023, dedicato proprio al brigante di Grotta Paglicci (per saperne di più www.borgodivino.org).
Ma torniamo al volume. A colpire sono i suoi irrisolti misteri sui luoghi e personaggi e soprattutto la doppia vita vissuta dal protagonista, appunto, Briéle Jalarde, il brigante frequentatore di una vendita carbonara per un verso e di avventure anti piemontesi per l’altro, con uccisioni e angherie varie, qualificate dai suoi nemici “brigantesche”. Si salva per la rotta della cuffia al processo di Trani ed ora, disperato e nel contempo innamorato della propria famiglia, trascorre i suoi ultimi anni di vita nel carcere duro di Lucera. Tra le sue imprese pro-popolo rignanese va ricordata quella di averne evitato, il 3 giugno 1861, l’invasione del paese da parte delle orde brigantesche e il contestuale ed eventuale massacro degli abitanti, favorendo l’accordo proposto dall’arciprete Matteo Ricci, con l’aiuto anche di altri capi briganti, come il sammarchese Angelo Maria Del Sambro (Lu Zampre) e l’acquisito Francesco Caterina.
Al centro di tutto il racconto c’è Grotta Paglicci, oggi famoso sito archeologico paleolitico di fama mondiale e ieri, sperduto e misterioso antro del Vallone di Settepende, da lui custodito e frequentato, sia nei tempi di guerra quando sta con i briganti, sia in quelli di preparazione insurrezionale, quando fa la guardia al suo padrone “Don Ciccio”, signorotto locale, capo appunto della predetta ‘vendita carbonara’ assieme al parroco don Antonio. È proprio nel carcere che il protagonista rivela al futuro genero Alfonso, carcerato pure lui, l’esistenza nella succitata ed ora famosa Grotta di un inestimabile tesoro riveniente dai suoi e altrui misfatti, nascosto nel sottosuolo e coperto da bucce di mandorle secche, mai trovato, nonostante le tante giornate perse a tale scopo e la mappa, seguita passo passo. Il riferimento è a quella disegnata appuntino a suo tempo dal carcerato sulla scatola di legno dei fiammiferi e consegnata al predetto. Indicazione, successivamente inevasa, anche da Leonardo Esposito, ultimo e deluso ricercatore degli anni ’60. E ancor di più dai fallimenti accumulati nel corso di sedute spiritiche ed ipnosi esercitati da soggetti vari: Matteotti, Vergine, ecc.
Il romanzo di Falcone ricostruisce la storia attraverso le testimonianze orali dei famigliari Galardi, non è di San Paolo Civitate, ma di Roccadaspide (nome pure inventato) del salernitano, dove nasce da famiglia di pastori-allevatori e fa lui stesso il mestiere fino alla gioventù. Quindi, per via di amicizia con i carbonari, è costretto a fuggire e a rifugiarsi, a Rignano. Qui si mette al soldo e si fa stimare, come attento guardiano di campo, grazie al suo fucile a colpo unico d’avanguardia, del succitato don Ciccio e sarà impegnato in tutti gli incontri notturni che seguiranno organizzati dai carbonari in ogni dove e soprattutto a Paglicci. Quello di don Ciccio (Francesco) è collegato alla sua masseria. Sicuramente è riferita a Palagano, ricostruita appunto ex-novo qualche decennio prima del brigantaggio ed è nonno dell’altro “don Ciccio De Majo”, oculista ed allevatore della razza di mucca podolica, scomparso pochi anni or sono. Lo stesso è unanimamente considerato in paese un vero e proprio ‘benefattore’, avendo assicurato lavoro fisso a più di venti addetti e famiglie.
Da qui l’altro spunto veristico preso in prestito dall’autore. Gabriele, in paese si innamora di Antonia, figlia del collega Vituccio, che sposa e mette al mondo le due figlie Filomena e Maria Rosaria. La prima sposerà un commerciante di Terlizzi e non avrà figli, l’altra, dopo aver studiato da monaca in quel di Napoli, e imparato bene il ricamo-cucito, sposerà il ruba cuore Alfonso, esponente di una famiglia di sarti di San Paolo Civitate, i Cipriani. Avrà 8 figli, di cui l’ultima Fiorenza Cipriani sposerà Giovanni Pilolli. Grazie, al figlio di quest’ultimo, Vincenzo, prof. Custode-ricercatore, tutto il materiale sul tema, compreso il ricco e raro corredo fotografico, passerà all’autore del libro e gli permetterà di comporre e scrivere il presente romanzo.
Lo stesso si aggiunge al corposo “Giornale di scavo”, romanzo, e a “Il Tesoro”, curati entrambi da chi scrive, tesi sul piano prettamente narrativo, a parlare di Grotta Paglicci e delle avventure degli uomini che su di essa hanno lavorato sodo e cercato, a cominciare da Arturo Palma di Cesnola, scienziato paleolitico di caratura mondiale. E grazie a lui che oggi sappiamo che c’è continuità vitale e per un certo periodo anche contemporaneità tra Homo Sapiens e Neanderthal, alla fucina dell’arte con gli innumerevoli graffiti e alle pitture dei cavalli su una delle pareti interne, unica e prima in Italia, alle migliaia di strumenti litici di ogni epoca,
Ottimo il prologo del libro, esteso e firmato dall’amico – collega de La Gazzetta, Antonio D’Amico, che ha messo in luce tutti i punti salienti del libro in questione, in termini di cronaca e di valori, coltivati da secoli dai meridionali e da difendere sempre, quali quelli della famiglia, del lavoro e della libertà. Pubblicizziamo e forniamoci di questo prezioso libro indispensabile per saperne di più sulla nostra storia passata e per tramandarne la memoria alle future generazioni!
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.
1 thought on “Il tesoro del brigante Gabriele Jalarde, romanzo del pronipote Gabriele Falcone.”
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