L’assistenza domiciliare integrata, in sigla Adi, è la nuova frontiera che si prefigge di raggiungere il Servizio Sanitario Nazionale nel campo degli anziani non autosufficienti e totalmente inabili. Tutto questo se ben avviato, non solo va incontro ai bisogni e alla stessa volontà degli assistiti, ma alleggerisce la spesa sanitaria generale diventata negli ultimi tempi insopportabile da ogni punto di vista. Lo è soprattutto per l’eccesiva ospedalizzazione e il continuo e costoso ricorso alle visite specialistiche e ai macchinari diagnostici di nuova generazione.
Per farci un quadro veritiero della situazione in itinere abbiamo rivolto alcune domande ad uno esperto del contatto quotidiano con gli anziani. Si chiama Antonio Melchionda. Laureato in Medicina e Chirurgia ha conseguito in seguito il Diploma Internazionale degli studi superiori in Sofrologia Medica e per oltre quarant’anni, tranne qualche breve pausa consumata in altri incarichi (ufficiale sanitario interino, tutor in Medicina Generale all’Università di Foggia, entrambi en passant, ecc.). ha operato e vissuto ininterrottamente in mezzo ad essi. Per di più le sue risposte al quesito saranno più pregnanti, avendo svolto il suo lavoro allargato di vita anche alle campagne. Va precisato subito che su molti argomenti l’illustre interlocutore si è già espresso con degli “a solo”, ossia con degli scritti pubblicati e rintracciabili su importanti testate ( tra l’altro, si legga il capitolo “Testamento di vita e direttive anticipate” contenuto nel v. “Manuale delle cure palliative...”di Giovanni B. D’Errico e Vanna. M.Valori,, 1/9 , EciCare, s.d. . Dulcis in fundo, come tanti altri suoi colleghi dello Stivale, egli è un attivo ex probando del collegio benedettino-vallombrosano di Montenero (LI).
A suo avviso, il nuovo tipo di assistenza Adi è conforme ai desideri degli anziani interessati?
Attualmente, credo di sì, considerato l’alto numero della categoria, che in Puglia, ha superato da parecchio il 15% della popolazione, mentre sul Gargano è ormai a circa il 20%. Circa le loro avvertite esigenze, voglio rispondere tramite le stesse loro parole. Ecco i racconti di ciascuno di essi da me raccolti.
Michele,80 anni, ex operaio agricolo, di San Giovanni Rotondo: “Si dice contento dei servizi Adi, ma si lamenta per la lontananza dell’ambulatorio medico, dove è costretto ad andare quotidianamente per rifornire il fabbisogno quotidiano di medicine per sé e il coniuge. Spera che il tutto cambierà in meglio con l’avvio-attività di un Centro diurno. In proposito ci fa sapere subito che difficilmente accetterà la ristorazione fuori casa. Al contrario, si dice d’accordo con quelli che vogliono che, il luogo diventi da subito un’occasione di incontro sociale, culturale, ricreativo. Il discorso scivola sulla possibile istituzione dell’Università per la Terza età. A suo dire, a causa dello sviluppo tumultuoso della tecnologia e le conquiste della scienza, l’uomo di oggi ha bisogno di un continuo aggiornamento, a prescindere dall’età e dal sesso. Qui l’anziano, avrebbe la possibilità non solo di apprendere, ma anche di insegnare e trasferire le proprie esperienze ai giovani. I professori, siano pensionati che neolaureati non mancano, come pure gli artigiani, gli informatici, i massari caseari, i potatori, ecc. L’ipotetico nuovo Centro potrebbe diventare addirittura un’oasi’ di formazione professionale di riferimento per l’intero comprensorio. In collaborazione con l’Università di Foggia, per esempio, si potrebbero organizzare degli stages formativi sull’Archeologia preistorica o corsi per guide turistiche e comunicatori scientifici. Le lingue e l’informatica farebbero la loro parte, come pure la cultura letteraria, musicale, artistica, ecc. Attualmente la maggior parte degli anziani di San Giovanni Rotondo vivono una vecchiaia “disorientata”, passando il tempo in futili incontri di chiacchiere o a giocare a carte, ospiti talvolta presso qualche Centro associativo Anziani , in altre occasioni presso i bar preferiti. Quasi sempre, quando il tempo è buono, li vediamo a passeggio sulla piazza verde de “l’Ulm” alias Europa. Per alcuni, la vita della loro età è scandita da ritmi regolari, con il passare del tempo a causa dell’indebolimento fisico ci si sente al sicuro solo nell’ambiente domestico, e si cerca la certezza del proprio presente nella continuità delle abitudini. Da qui, il ricorso all’assistenza domiciliare completa diventa per lui un obiettivo vicino e non rinviabile. Se resta a casa, in mezzo ai ricordi e col pasto quotidiano, di certo sarà felice”.
Luigi, 75 anni, falegname in pensione è dal canto suo alquanto diffidente e sbrigativo e come la maggior parte dei suoi coetanei non vuole parlare di sé, però mi svela l’attività che più di tutto lo soddisfa: – “Mi piace fare il nonno, ho lavorato per 37 anni ed ora non ho voglia di fare altro. Quando non sono insieme alla famiglia, vengo in piazza (quella degli olmi) a vedere gli amici”.
Ovviamente il leit motiv delle conversazioni di questi perditempo di piazza Ulm è la pensione. I più fortunati hanno avuto un lavoro a contratto o Statale. Coloroico di che hanno fatto gli agricoltori spesso hanno lavorato in nero e senza “le marche” gli anni di contributi non possono essere riconosciuti. Qualcuno si lamenta che la tassazione comunale in paese è molto alta. Anzi, la ‘semplificazione’ predicata dalla normativa viene interpretata ed applicata a senso unico, ossia non articolata in base al reddito, ma tutta in “in”. Lo si è visto ieri per la Tarsu, per l’Irpef, l’Irap, ecc., ora si rischia ancora di più per l’Imu. L’argomento che più spaventa l’anziano e lo rivolta nella psiche sono i costi delle operazioni cimiteriali: acquisto loculo, tumulazione ed estumulazione, ecc. considerati i più alti, come pure l’esclusione di essi da ogni tipo di rateizzazione o agevolazione. Per di più non vogliono assolutamente lasciare i debiti di tali operazioni ai loro figli. Ad essere maggiormente preoccupato è soprattutto il pensionato Inps al minimo che non ce la fa più. Per cui il suo male psicologico si trasforma in depressione irreversibile e le terapie di qualsiasi tipo fanno cilecca. .
Vincenzo, 74 anni, è vissuto a lungo in Germania dove ha lavorato . Tornato nel paese natale ha fatto molti lavori diversi: bracciante agricolo, artigiano. Lamenta la scarsa presenza delle forze dell’ordine. Ci dice : “Noi anziani non possiamo difenderci da soli. Durante il periodo fascista quando tornavo al paese dalla campagna, i carabinieri mi pedinavano fin sotto casa per assicurarsi che non stessi commettendo alcuna infrazione!”. Ai problemi della sicurezza si potrebbe farvi fronte, oltre che con il potenziamento delle forze dell’ordine, con il supporto del volontariato e del ricorso ai cosiddetti “nonni-vigili” e “nonni band” da attivare presso le scuole e le altre strutture pubbliche. Gli anziani ne sarebbero felici nell’essere considerati persone attive.
Negli ultimi anni c’è stata una riduzione delle risorse del Fondo Nazionale delle Politiche Sociali; comunque i progetti previsti nel Piano di Zona sono in gran parte attivi.
Per parlare delle condizioni di vita delle persone anziane si ricorre ad un numero infinito di cifre e di diatribe politiche.
“Nonno Gabriele”, intanto, prima di tornare a casa mi svela un segreto. Illuminante.
Me lo dice piano, quasi sottovoce: – “Esiste un solo modo per invecchiare bene ed essere felici, avere la stessa luce e lo stesso fuoco da dividere con le persone che ami”.
Sono questi racconti – chiosa il nostro intervistato – a dare la giusta sfumatura al ritratto che emerge dal Rapporto CENSIS, che dipinge il prototipo di anziano attivo e soddisfatto.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.