Si può parlare della guerra in molti modi e Del Vecchio ha deciso di farlo come un asceta all’ingiù che contempla le vicende esistenziali dei soldati. È una testimonianza sconvolgente sull’inferno della Guerra, è libro della dignità e dell’abiezione dell’uomo di fronte allo sterminio di massa. In alcuni punti, ricorda i luoghi letterari del libro La tregua di Primo Levi: il lungo viaggio di ritorno attraverso l’Europa, l’Italia e l’Africa, dai diversi fronti di guerra e campi di sterminio. Una narrazione che contempera il senso di una libertà ritrovata con i segni lasciati dagli orrori sofferti.
Del Vecchio, oltre a narrare l’epica delle vicende, dipinge anche i tratti salienti delle persone che popolano il suo libro e ci invita a riflettere su quanto sia brutta la guerra e quanto sia difficile ricostruire la pace. E questo perché la guerra porta con sé tracce di sangue, di odi, di macerie difficilissimi da cancellare. E la guerra è sempre una sconfitta, perché distrugge il valore della persona umana, della dignità e della libertà.
In un panorama geopolitico dove i venti di guerra soffiano sempre più forte, libri come questo aiutano a ricalcare l’invito alla pace. E resta in noi sempre una speranza, espressa in maniera sublime da quell’appello dolce ed accorato di Giovanni Paolo II: «Concedi al nostro tempo giorni di pace. Mai più la guerra!».
E basta leggere con maggiore attenzione il titolo del libro, per capire che non è solo la storia dei caduti e reduci di guerra, ma è anche la mia storia, la tua, e quella di tutti coloro che lasciano la propria terra alla ricerca di un futuro migliore. E “Io parto, non so se ritorno”, un’incisione ritrovata sulla finestrella di un pagliaio, potrebbe metaforicamente essere l’incisione che ognuno di noi può tracciare sulla finestrella del proprio cuore.